Il capezzolo introflesso è una condizione più comune di quanto si immagini: il capezzolo, invece di sporgere naturalmente verso l’esterno, si presenta retratto o nascosto all’interno dell’areola. Nella mia pratica clinica mi capita spesso di affrontare questo problema, che può avere un impatto estetico, psicologico e funzionale, in particolare per chi desidera allattare.

Cause e gradi del capezzolo introflesso

Il capezzolo può essere introflesso sin dalla nascita (forma congenita) a causa di dotti galattofori troppo corti o di tessuti fibrosi che lo trattengono. Altre volte la retrazione compare più tardi (forma acquisita) e può essere legata a infiammazioni, cicatrici o, più raramente, rappresentare un segnale di una malattia della mammella che va esclusa con gli opportuni accertamenti.

Si distinguono diversi gradi di introflessione:

  • Grado I: il capezzolo può essere facilmente estroflesso con una lieve pressione e rimane fuori per un po’.
  • Grado II: il capezzolo può uscire solo con manovre manuali, ma rientra subito dopo.
  • Grado III: il capezzolo è stabilmente retratto e non è possibile farlo fuoriuscire manualmente.

Le difficoltà legate al capezzolo introflesso

Oltre alla componente estetica e psicologica, che spesso porta disagio e imbarazzo, il capezzolo introflesso può comportare anche problemi funzionali. Durante l’allattamento, un capezzolo retratto può rendere difficile la suzione da parte del neonato. Nelle forme più lievi si può provare a facilitare la fuoriuscita del capezzolo con piccoli accorgimenti manuali, ma nei gradi più avanzati questi tentativi risultano inefficaci e possono portare a frustrazione e dolore.

Un capezzolo introflesso non trattato, specie nei gradi più severi, può inoltre predisporre a infezioni locali (come mastiti o ascessi), microtraumi della cute e difficoltà igieniche.

Come si svolge l’intervento per il capezzolo introflesso

Quando il capezzolo è di grado II o III, il trattamento chirurgico rappresenta la soluzione definitiva. L’intervento si esegue generalmente in anestesia locale, talvolta con una leggera sedazione, in regime ambulatoriale.

Durante l’operazione pratico una piccola incisione nascosta nell’areola o alla base del capezzolo. Attraverso questa via libero le strutture che lo trattengono: seziono i dotti galattofori accorciati o fibrotici e rimuovo eventuali bande di tessuto connettivo che impediscono la normale estroflessione. In alcuni casi applico punti di sutura interni che mantengono il capezzolo nella posizione corretta senza tensione, così da ottenere un risultato stabile e naturale.

L’intervento dura in media 30-45 minuti e non lascia cicatrici visibili: la piccola incisione si confonde con i naturali margini dell’areola.

Cosa fare nel post-operatorio

Il recupero dopo la correzione del capezzolo introflesso è rapido. Dopo l’intervento consiglio alle pazienti:

  • di indossare un reggiseno morbido, senza ferretto, che non eserciti pressione sulla zona trattata;
  • di evitare attività fisica intensa e movimenti bruschi del torace per circa 7-10 giorni;
  • di proteggere la zona da traumi o compressioni dirette;
  • di seguire le medicazioni e i controlli previsti per monitorare la guarigione.

Nella maggior parte dei casi è possibile tornare alle normali attività quotidiane già dopo 48 ore.

Età consigliata per l’intervento

Non esiste un’età precisa per affrontare questo intervento, ma in generale si consiglia di aspettare il completo sviluppo del seno, quindi dopo l’adolescenza. Spesso le pazienti si rivolgono a me in età giovane adulta, quando il disagio estetico e psicologico si fa più sentire, oppure in previsione di una gravidanza e dell’allattamento, per prevenire le difficoltà legate alla suzione.

L’intervento può essere combinato con altre procedure?

Sì, il trattamento del capezzolo introflesso può essere eseguito da solo oppure associato ad altri interventi sul seno. Ad esempio può essere combinato con una mastopessi (lifting del seno), con una mastoplastica additiva (aumento del seno con protesi) o con la correzione di un seno tuberoso, quando queste condizioni coesistono. In questi casi il piano operatorio viene personalizzato in base alle esigenze estetiche e funzionali della paziente, valutando con attenzione anche l’impatto sull’allattamento futuro.

Capezzolo introflesso e allattamento

Il capezzolo retratto, specie nei gradi più avanzati, può rendere estremamente difficile o impossibile l’allattamento naturale, poiché il neonato non riesce ad afferrare il capezzolo durante la suzione. L’intervento chirurgico, liberando le strutture retratte, può migliorare la possibilità di allattare, anche se va considerato che nei casi in cui sia necessario recidere i dotti galattofori questo aspetto potrebbe essere compromesso. Durante la consulenza pre-operatoria affronto sempre questo tema in modo approfondito per aiutare la paziente a fare una scelta consapevole.

Conclusione

Il capezzolo introflesso è una condizione che può essere corretta in modo sicuro con un piccolo intervento chirurgico, offrendo un risultato definitivo sia dal punto di vista estetico sia funzionale. Se ritieni che questa problematica stia influenzando il tuo benessere o desideri capire se l’intervento può fare al caso tuo, contattami per una consulenza accurata e personalizzata.